Quando il Grande Torino incantava il mondo

"Forse era troppo meravigliosa questa squadra perché invecchiasse; forse il destino voleva arrestarla nel culmine della sua bellezza". Così Carlo Bergoglio spiegava la scomparsa del Grande Torino dopo l'incidente aereo di Superga e oggi ricade l'anniversario di quella fatalità che ha fatto piangere non solo il capoluogo piemontese, ma tutta l'Italia intera e il mondo. Ancora non esistevano le grandi corazzate di oggi, contava molto di più la storia di una squadra e i giocatori andavano ancora a lavorare come quelli del Torino che andavano nella fabbrica automobilistica della Fiat. ma quella squadra incantava tutta l'Italia intera ed era impossibile non amarla. Il padre del Grande Torino era Ferruccio Novo, industriale del cuoio capace di costruire una grande squadra negli anni della Seconda Guerra Mondiale e portare alla luce giocatori che allora erano considerati tra i più forti del panorama italiano come il capitano Valentino Mazzola, cuore e anima della squadra granata, ma soprattutto padre di Sandro Mazzola che farà grande invece l'Inter. Oppure Rigamonti, Ballarin, Maroso che era considerato il giocatore più completo del Grande Toro, Bacigalupo e per finire Gabetto, finito nella Juventus e rinato nell'altra sponda di Torino. Una squadra capace di dominare la Torino bianconera e vincere 5 scudetti consecutivi, capace di risolvere partite per 10 a 0 come contro l'Alessandria perché Mazzola era stato stuzzicato da un giocatore grigio, oppure perdere inizialmente una partita contro la Lazio per 3-0 per poi recuperare e vincere per 4-3, facendo nascere il famoso "quarto d'ora granata" che partiva quando un capo stazione suonava una trombetta utilizzata in una stazione dei treni e faceva infiammare lo Stadio Filadelfia, la casa del Grande Torino dove in pochi sono usciti illesi. Una bella realtà, una squadra di una bellezza unica che rappresentava la voglia di rinascere dell'Italia intera dopo la terribile Seconda Guerra Mondiale e non aveva fatto ancora i conti con il destino, pronto a riservargli qualcosa di molto più grande della loro grandezza, ma fatale. Era il 4 Maggio: il Torino stava rientrando dal Portogallo dopo la partita di addio del capitano del Benfica Chico Ferreira, conosciuto da Mazzola qualche mese prima in una partita tra l'Italia e i lusitani. Il pilota Meroni, un cognome particolarmente amato dai tifosi granata per il loro talentuoso giocatore Luigi Meroni, anche lui morto in circostanze sfortunate, viaggia verso Torino ma l'altimetro indica quota 2000 metri e la nebbia limita la visibilità del pilota, quando in realtà l'aereo si trova solo a 500 metri e inevitabilmente si schianta sulla basilica di Superga. Quella grande squadra nella loro infinita bellezza non aveva fatto i conti con il destino o forse non si voleva vedere quell'inevitabile tramonto che prima o poi avrebbe eclissato la bellezza granata. Ancora oggi i tifosi piangono per quella squadra e solo nella stagione 75-76 il Torino ritornerà a vincere quello scudetto che sembrava non poter essere più ricucito sulla maglia granata, ma anche in quella vittoria storica come in questo 4 Maggio, lo sguardo dei tifosi non solo del Torino ma anche del calcio si volge verso la basilica di Superga per ricordare la magia e la bellezza di quella squadra vinta solo dal fato.  

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