Quelli che esaltano Sarri a loro insaputa

Maurizio Sarri, al momento, è in una botte di ferro. Ci sono, praticamente dappertutto, persone che lavorano (gratis) per lui, pur sostenendo, in genere, di essergli nemici e lanciandogli contro ogni giorno insulti e accuse infamanti. Facciamo qualche esempio. Il tradimento e il traditore sono i due aspetti della rabbia  dei tifosi con i quali si interpreta il passaggio di Sarri alla Juve. Certo, la delusione è comprensibile, ma la rivisitazione eterna e stantia della sceneggiata (isso, essa e ‘o malamente) non annulla la frustrazione, anzi la porta sulla scena della solita, melensa rappresentazione: un popolo di piagnoni e illusi, separatisti all’incontrario. Ovvero cultori del futile emotivo senso della napoletanità. Invece basta essere napoletani ed è già tanto, il resto (napolegno, napolista etc) sono luoghi comuni che si appellano alle circostanze  esterne, spiegazione che rassicurano, ma non convincono. Chi studia le zone d’ombra dell’essere umano sostiene che uno sconosciuto abiti dentro di noi, e che ogni tanto spenga la luce per scaricare all’esterno i depositi di rabbia accumulatisi.  Ed è questo il pane dei demagoghi alle vongole che predicano bene e razzolano male. I signorotti che rappresentano solo e soltanto quei napoletani, con le loro scarse aspettative di normalità, la loro sfiducia nello sviluppo, la tendenza a cercare all’esterno i responsabili dei problemi interni.  Sarri alla Juve mette finalmente il lucchetto a una pagina di giornalismo sportivo e non che ha vissuto con l’ansia della narrazione fantasy e chiude alle reazioni social di una povertà disarmante. L’immagine plastica del nulla culturale e sportivo che circonda il nostro calcio.  Perché in fondo il sarrismo è solo letteratura dei costruttori di falsi miti (rafaeliti, sarristi) e strampalate ideologie gonfie di idee fasulle. Il calcio è immerso nella realtà, bella o brutta che sia: professionismo e affari. Presidenti, allenatori e calciatori passano. Ma tutto ciò è mitigato dall’amore per la maglia. L’unica cosa che resta. E tecnici, dirigenti, giocatori saranno sempre e solo uno vale uno.

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