L’ultima frontiera, soffrire vincendo

Occhio lungo e sopracciglio grintoso, come il loro leader, al secolo Carlo Ancelotti. Così i ragazzi del Napoli possono umilmente spe­rare - perché ci vuole tanta ostinazione e umiltà per vincere partite come questa di Genova - che la loro fortezza priva­ta, quella che ha come primi chiavistelli Koulibaly e Albiol resista ad assalti e intemperie in ogni dove. È successo a Marassi contro il Genoa, lì dove la squadra in maglia azzurra ha domato nel finale gli avversari e gli scrosci di pioggia, su un campo ridotto ad acquitrino. Ecco é stata soprattutto la vittoria del coraggio e della forza, quasi una manifestazione di assoluta prepotenza. Come a dire, stavolta, niente o nessuno - tranne scivoloni improvvisi (vedi Samp e Juve) - può diventare argine per il Napoli. Certo, così come nulla è perduto in campionato e in Champions, si può parafrasare che non tutto a Genova é andata per il giusto verso

Nel Napoli le due note positive sono complementari a quelle negative: Fabián Rui ha sempre più l’impatto del gran giocatore. Mertens sta tornando a essere continuo e ai suoi livelli. In questo momento Zielinski e Milik non sono ciò che dovrebbero essere. Qui sta il nocciolo di un primo tempo non all'altezza, del vuoto creato da una formazione iniziale messa in campo da Ancelotti. Per otto undicesimi, uguale a quella vista col

Psg, 

Tuttavia la vittoria meritata del Napoli attenua la vergogna di una partita giocata su un campo impraticabile per almeno quaranta minuti. Tanto che le statistiche contano poco e sono per nulla indicative: 67% di possesso palla, 80% di precisione, 22 tiri in porta, il massimo del massimo è rappresentato dai tre punti, usciti dalle sabbie mobili di un risultato difficile, di un’accertata generale impraticabilità e di una cascata d’acqua che nel secondo tempo ha svegliato il Napoli.

 

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