Analisi di una delusione

Il dado è ormai tratto, il Napoli, a meno di miracoli sportivi, non riuscirà a qualificarsi per la prossima Champions League. In molti hanno sperato che i protagonisti in campo (e fuori) avrebbero profuso il massimo impegno in questo ultimo scorcio di stagione. Una tenacia che avrebbe permesso al Napoli di centrare almeno uno degli obiettivi prefissati ad inizio campionato. Ed invece gli azzurri, dopo aver mancato la qualificazione alle finali di Coppa Italia e di Europa League, hanno perso anche l’ultimo treno diretto per la Champions. Il Napoli è caduto a Torino, contro una Juventus piena zeppa di riserve e con la testa a Berlino, mostrando tutti i sui limiti tecnici e caratteriali. Per l’ennesima volta una squadra abulica, senza cattiveria, disordinata  e svogliata è stata sopraffatta da avversari che, per quanto fortissimi, non avevano più nulla da chiedere al campionato. La stagione del Napoli iniziata con un delusione (l’eliminazione dalla Champions ad opera dell’Atletic Bilbao) termina nella sconforto più assoluto. E’ tempo di bilanci.
SOCIETA’ 
In estate De Laurentis aveva promesso rinforzi di tutto rispetto. Si era parlato di nomi di un certo calibro: Mascherano, Arbeloa, Vertonghen, Janmaat, Gonalons e Kramer. Sono arrivati De Guzman, Lopez, Koulibaly e Michu e forse troppo frettolosamente sono stati ceduti Bherami e Dzemaili. Quest’ultimo noto per le sue preziose qualità balistiche in zona gol. Con il senno di poi, considerando l’inadeguatezza del centrocampo azzurro, i due svizzeri sarebbero stati utili alla causa. Da non sottovalutare inoltre la mancata riconferma di Reina, mai degnamente sostituito. Benitez si aspettava di avere gli uomini giusti per poter applicare al meglio il suo modulo. Quei giocatori in grado di far fare il salto di qualità agli azzurri. Invece si è ritrovato con seconde (o peggio terze) scelte. La dirigenza ha poi dimostrato di non essere in grado di gestire i rapporti con i giocatori e con il tecnico. Nei momenti caldi della stagione non si sono protetti gli atleti dalle distrazioni esterne (voci di mercato, gossip e quant’altro) o da eventuali malumori. Il DS avrebbe dovuto parlar chiaro con l’allenatore e “convincere i giocatori a far quadrato remando tutti nella stessa direzione”. Ed invece il troppo remissivo Bigon è stato messo all’angolo dal Presidente, addirittura a volte scavalcato da quest’ultimo. E’ stato De Laurentiis ad imporre il silenzio stampa e a volere il ritiro (una volta in auge, oggi praticato principalmente da società minori). Il Napoli ha mostrato di non avere tra le sue fila un uomo di sport. Un conoscitore dell’ambiente in grado di isolare e di motivare i calciatori, di riprendere le teste calde e di collaborare con il tecnico. La così detta figura di raccordo abile a gestire i rapporti fra squadra e presidente, fra allenatore e giocatori e fra  giocatori stessi. Tutto ciò, assieme ad alcuni errori gravi nella programmazione (assenza di un centro sportivo, mancati investimenti nel vivaio, cattiva gestione nelle comunicazioni), ha portato a risultati altalenanti.
 
TECNICO 
Benitez è un grande professionista e conoscitore di calcio, su questo non ci piove. Il Napoli, pur avendo carenze in organico, non di rado ha giocato un buon calcio. A volte addirittura spumeggiante. Il tecnico ha portato una ventata di “internazionalità” nell’ex campionato più bello del mondo, ha professato un calcio spregiudicato ed ha cercato di “imporre un gioco” scardinando l’impronta “catenacciara” tanto cara al calcio tricolore. Ha vinto una Coppa Italia e una Supercoppa Italiana, ha fatto il record di punti in campionato (seppur in coabitazione con Mazzarri) ed è riuscito a riportare il Napoli, dopo i fasti di Maradona, in una semifinale europea. Tuttavia l’allenatore non è esente da colpe in questa stagione. In prima battuta, dopo il deludente mercato di inizio stagione, ha trasmesso tutto il suo malumore alla squadra. Si spiegano in questo modo gli orrori di Bilbao e l’inizio di campionato da incubo degli azzurri. Nel corso dell’anno troppe volte il suo fondamentalismo (negli schemi) ha preso il sopravvento. Come l’imposizione di quel dannato centrocampo a due pur non avendo gli interpreti adatti. Questo ha significato una sofferenza eccessiva per la squadra e assoluta mancanza di copertura per la difesa. Specialmente con le squadre cosiddette piccole che fanno del pressing esasperato la loro arma migliore. Troppe volte il Napoli ha mostrato un possesso palla sterile e a volte irritante. Una serie interminabile di passaggi, spesso all’indietro o orizzontali, che puntualmente terminavano con un nulla di fatto. A volte sarebbe stato necessario far buon viso a cattivo gioco e cercare una maggiore concretezza. Magari coprendosi di più e non andando tanto per il sottile o provando a cambiare la disposizione dei singoli in campo. Il Napoli è poi venuto meno in momenti chiave della stagione, buttando alle ortiche occasioni irripetibili (dal Campionato, passando per la Coppa Italia, fino ad arrivare all’Europa League). Troppe volte i giocatori hanno mostrato scarsa vena, poca determinazione e assenza di cattiveria agonistica. Quasi come se Benitez, seppur abile stratega, non fosse riuscito a motivare fino in fondo i suoi ragazzi. Logico in questi casi imputare all’allenatore, oltre che ai giocatori, una prestazione sottotono. I particolare il campionato di serie A è un torneo di livello medio. Nemmeno il più ottimista credeva nella possibilità dello scudetto, tuttavia il terzo posto era fattibile come risultato.  Per di più ci sono delle situazioni mal gestite dove le colpe si dividono tra allenatore e Società.  Ad esempio le continue titubanze del tecnico iberico sulla possibilità o meno di rinnovare il contratto con il Napoli non hanno giovato all’ambiente. Benitez, da uomo di sport, ha sempre avuto in mente un ruolo da manager in un progetto a lunga scadenza. Nella possibilità di “plasmare” una società calcistica partendo dal basso: dal settore giovanile, passando per le strutture, fino ad arrivare alla prima squadra (un mix di campioni affermati e di giovani “cresciuti in casa”). Si è dovuto scontrare con una gestione padronale della Società Sportiva Calcio Napoli che più volte ha deluso le sue aspettative. Ciononostante una maggiore chiarezza da parte del tecnico sulla volontà o meno di rimanere a Napoli sarebbe stata auspicabile.   Anche il rapporto con i media non è stato dei migliori. Come non ricordare gli scontri infuocati con alcuni opinionisti Sky. Tuttavia, anche in questo caso, la dirigenza aveva il dovere di proteggere con più convinzione un suo importante dipendente.  
SQUADRA 
La rosa del Napoli ha carenze in molti settori. Ad esclusione del reparto avanzato, gli azzurri dalla cintola in giù presentano onesti mestieranti o professionisti che dir si voglia. Tra vecchie volpi o giovani scommesse ancora acerbe, pochi sono in grado di fare la differenza.   Andujar, Maggio, Ghoulam , Gargano, David Lopez, Britos e Inler hanno dato quello che potevano. Non sono dei fenomeni, lo si sapeva. Rafael e Jorginho hanno deluso le aspettative, l’italo brasiliano in particolare dopo un buon inizio di stagione è calato vistosamente. Koulibaly ha mostrato buone potenzialità, ma è ancora immaturo e ha bisogno di crescere senza affanni. Altrimenti si rischierebbe di bruciare un investimento di un certo valore.   Albiol e Hamsik hanno giocato al di sotto delle loro possibilità. Se lo spagnolo anche nella passata stagione aveva commesso alcune gravi distrazioni costate molto care, il capitano ha probabilmente pagato le sue “incomprensioni” con Benitez.Hanno poi avuto un nontrascurabile peso gli infortuni di Insigne, nel momento del suo massimo splendore, e di Strinic, dotato di piedi discreti e di buona intelligenza tattica. Su Zuniga c’è poco da dire, ad oggi tutto è avvolto nel più fitto mistero.   Parentesi su Callejon e Higuain. Il primo ha avuto forma e voglia altalenanti. Se la prima parte di stagione è stata ottima, confermando quanto di buono visto nello scorso campionato, così non si può dire per la seconda. L’attaccante ex Real è apparso troppo spesso fuori dal gioco, a volte impacciato ed è mancato in fase realizzativa.   Discorso diverso per il centravanti argentino. Nel momento clou della stagione è apparso svogliato. Lamentele, reazioni scomposte e indolenza lo hanno fatto apparire come un professionista che ha un discutibile senso di attaccamento alla maglia e che non trascina la squadra. Che riesce a dare il meglio di se solo sulle ali dell'entusiasmo. Negli ultimi tempi il Pipita ha ricordato il peggior Murgita visto a Napoli: mai pericoloso, costantemente anticipato e sempre “spalle alla porta”.   A prescindere dai legittimi dubbi sul perché il Real Madrid lo abbia ceduto o sull’opaca prestazione nella finale del Campionato del Mondo, va anche detto che il Napoli un centravanti così non lo ha mai avuto (ad esclusione di Careca. Ma in quel tempo a Napoli c’erano diversi marziani). Contestare un giocatore che non si impegna è doveroso, anche se molto forte. Se si ha voglia di cambiare aria è giusto andar via, nessuno è insostituibile. Detto ciò a tutto c’è un limite:considerare scarso Higuain è un sacrilegio. Va detto che il collettivo non ha saputo gestire per il meglio le gare importanti. L’assoluta mancanza di cattiveri seguita, a volte, dallo scarso impegno hanno fatto il resto.      
 
L’anno prossimo il Napoliri partirà con un nuovo allenatore (molto probabilmente Mihajlovic), un nuovo DS (il rapporto tra Bigon e De Laurentis è agli sgoccioli) e un nuovo progetto.   Il tutto senza i soldi della Champions. Ciò sta a significare che la prima volta nell’era De Laurentis il Napoli chiuderà l’annata con il “bilancio in rosso”.   La situazione genererà un impatto negativo sull’imminente mercato azzurro. Si rischia perciò un ridimensionamento senza aver mai spiccato il volo. 

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