L'ultima partita di Kobe Bryant...alla Kobe Bryant

"Tu sei pazzo". Così mi ha detto mio padre ieri sera, quando ha saputo che avrei puntato la sveglia alle 4 del mattino per una partita di basket. Per lui, calciofilo militante della prima ora, l'unica palla che conta è quella di di cuioio. Della 'spicchia' non sa, sinceramente, che farsene. E, come lui, sono stati in tanti a non capire perché il sottoscritto, e altri pazzi come lui, avessero deciso di iniziare la propria giornata almeno tre ore prima. Semplice: per me, per noi, stanotte era LA notte, la partita era LA partita. Anzi, qualcosa di più. Perché con Kobe Bryant non si ritira soltanto uno dei più grandi giocatori di ogni tempo; se ne va anche un pezzo della mia generazione, quella che ha potuto vivere solo di striscio l'epopea jordaniana e che ha passato gli ultimi venta'nni ad ammirare colui il quale può essere considerato a buon diritto il legittimo erede del numero 23 più famoso della storia. Di colpo, tutti i sabati pomeriggio passati a guardare 'Nba Action', tutte le notti in bianco a trepidare per qualcuno di così lontano eppure così vicino, tutti i tentativi (malriusciti) di imitare qualche sua giocata al campetto, hanno trovato la summa ideale in 48 minuti da leggenda che non potranno mai essere dimenticati.

Perché il 'Black Mamba', dopo una stagione passata a combattere contro l'avanzare inesorabile del tempo e gli acciacchi di un fisico che non rispondeva più alle sollecitazione da fuoriclasse, ha sfoderato una prestazione a tratti inspiegabile: 60 punti a 37 anni contro i malcapitati Utah Jazz, a coronamento di una stagione disgraziata per lui e per i Lakers. Come ai bei tempi, quando era semplicemente la più devastante arma offensiva mai vista su un parquet. Il tutto reso più magico che mai dall'atmosfera dello Staples Center, dalla marea umana adorante radunatasi fuori l'impianto angeleno, dalla consueta parata di stelle a bordo campo: nessuno, ma proprio nessuno, è voluto ancare al passo d'addio del giocatore che, più di ogni altro ha segnato la storia recente di questo sport.

E non è un caso che, 600 km più giù, quasi contemporaneamente Stephen Curry e i Golden State Warriors stessero riscrivendo a loro volta la storia, andando a vincere la gara stagionale numero 73 e levando ai mitici Chicago bulls del già citato Jordan quel record di 72-10 che pareva inattacabile. E' come se, in un'unica grande notte di follia, si fosse consumato un passaggio di consegne più naturale di quel che si creda. Fino a ieri la Nba apparteneva a Kobe: da oggi è di Curry e dei meravigliosi figli della Baia di Oakland. Anche se, senza il 24 fu 8, da oggi siamo tutti un pò più soli. Compagni e avversari, appassionati e tifosi, lovers e haters.

Niente, mi sa che mio padre ha avuto torto. E' stato lui il pazzo a perdersi uno spettacolo così. 

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