Crollo Juve, la Caporetto di certa informazione

Stefano Tamburini, collega di valore del gruppo L'Espresso, ha scritto un motivato ed esemplificativo

articolo sulla caduta della Juve a Cardiff, ma soprattutto sulla Caporetto di certo giornalismo e "opinionismo" sportivo. Ecco la pubblucazione tratta dal Tirreno di Livorno.

C’è qualcosa di molto peggio che perdere la settima finale su nove disputate. E che va molto oltre la brutta figura rimediata dalla Juventus a Cardiff. Questo peggio ha due facce: quella della credibilità del calcio italiano e quella di chi lo racconta in tv, alla radio e su una parte dei giornali.

Cominciamo dalla coda. Prendiamo la copertina di ieri di Tuttosport. Il titolo (“La Juve è questa”) sormonta due foto di premiazioni, quella dello scudetto e della coppa Italia appena vinti. La sconfitta di Cardiff? Nascosta. Peggio che in epoca fascista, quando il ministero della Cultura popolare impose di non dare la notizia della sconfitta dell’Italia contro l’Inghilterra. Era il 14 novembre 1934: finì 3-2 con tre gol inglesi nei primi 12 minuti e doppietta di Meazza nella ripresa. Ebbene, i giornali titolarono cose del tipo “L’Italia spezza le reni agli inglesi nel secondo tempo”.

Una finta mezza verità ieri, una bizzarria oggi. Allora poteva anche avere un senso: non c’era altro mezzo per sapere, ora invece è solo un modo per accattivarsi almeno in copertina la simpatia della “pancia” del tifo, la peggiore. Poi, certo, all’interno devono parlarne per forza, intanto l’occhiolino è strizzato. E non è un caso isolato, accade quasi ogni giorno e da tempo, ad esempio con il conteggio degli scudetti o come nel 2008, quando i giornali romani arrivarono a nascondere o quasi gli sputi degli ultrà romanisti ad Adriano Galliani al funerale del presidente romanista Franco Sensi. Poi, per fortuna, ci sono anche esempi positivi, come quello del 2005 a Genova, quando la polizia dovette presidiare a lungo la sede del Secolo XIX che aveva scritto che la retrocessione del Genoa a tavolino era giusta perché un dirigente era stato sorpreso a comprare una partita.

Analoghe perplessità emergono di fronte alle biografie precocemente celebrative su ogni bianconero. E c’è da tremare sul futuro di questo mestiere, quando uno fra i più autorevoli commentatori come Mario Sconcerti, arriva a dichiarare che «la Juve ha i migliori d’Europa, temo che Cristiano Ronaldo a Torino farebbe il tornante o la riserva». Seguito poi da uno dei tanti cosiddetti talent (ex giocatori) che tappezzano ogni studio tv. Il talent è Ciro Ferrara, ex Juve: «Non cambierei Dybala con Cristiano Ronaldo». Due esempi che rappresentano la punta di un iceberg fatto di dichiarazioni di pancia, di speranze dipinte da “autorevoli opinioni”. Come nel salotto di Fabio Caressa su Sky, anche questo pieno di ex. A un certo punto sembrava che il Pallone d’oro 2017 lo dovessero portare a Torino e che poi se la vedessero fra loro.

Ecco, la batosta di Cardiff ha fatto crollare questo castello fragile basato sulla necessità di rendere appetibili le partite più che raccontarle. E che testimonia l’inutilità, per non dir di peggio, di far parlare di calcio solo chi ogni domanda la fa precedere da un «noi che abbiamo giocato lo sappiamo». Prima di questa epoca, a lungo, abbiamo fatto un uso moderato di talent e i migliori erano persone come Gianni Brera, Gianni Mura (lo è ancora), Vladimiro Caminiti, Beppe Viola, Nando Martellini che a pallone avevano giocato solo in cortile. L’unico che faceva e fa eccezione (scrive ancora e bene) è Bruno Pizzul, ex di Udinese e Catania. Per raccontare le cose ci vuole sapienza tecnica, certo, ma anche un sano distacco da un mondo ormai autoreferenziale e con interessi intrecciati.

Tutto questo, poi, fa da contorno a un calcio italiano che negli ultimi 25 anni ha visto solo tre squadre (Juve, Milan e Inter, con la parentesi di Lazio e Roma nel 1999 e nel 2000) vincere lo scudetto e che ha smarrito ogni senso di competitività reale. Da sei anni la Juve non ha avversari e le ultime sei, sette squadre farebbero fatica anche in B. Il Real no, deve vedersela con Barcellona, Atletico e Siviglia. In Inghilterra gli ultimi cinque titoli sono andati a quattro squadre e il livello di competitività è estremo. Ha ancora un senso distribuire risorse per allargare la forbice fra migliori e peggiori e quando si tratta di affacciarsi in Europa scoprire che è tutta un’altra realtà? La risposta è no ma, vedrete, qualcuno che passata la buriana tornerà a raccontarci favole lo troveremo ancora. Purtroppo.

(Il Tirreno)

 

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