Ciao Peppino, nessuno come te

“Ienimog gavario paroski”, mi disse un giorno mentre partivamo per l’Ungheria. C’era da giocare una partita della Nazionale. E Peppino mi disse di nuovo: “A Budapest parilare un pochettino russo, di questi tempi, non fa male.” Già “Ienimog gavario paroski” – lo scrivo come si pronuncia, non sono un’eminente come Peppino che parlava e scriveva pure in cirillico – significa pressappoco questo. Grande Peppino, sei sempre stato il pozzo del sapere, dove ognuno di noi, dei ragazzi di via Chiatamone (i vecchi, i nuovi e i futuri) venivamo da te a tirar su secchi di conoscenza. E non c’era solo sport o calcio. Anzi quella era piccola materia per te e forse pure per noi. Per te che eri un giornalista d’eccellenza che spiegava la politica internazionale, la nostra e l’altrui cultura, lo spettacolo sapiente e leggero e quant’altro. Peppino poteva essere anche un cattedratico, un letterato, un artista, non solo un grandissimo giornalista, orgoglio de Il Mattino. Sentirlo ragionare, leggere i suoi articoli, scambiare qualche chiacchiera era un privilegio. Se ne stava seduto in ultima fila, nella redazione sport. Con l’avvento dei computer, era rimasto il solo a scrivere con un’anziana, ma storica lettera 32. Poi diventata una Remington elettrica, e fu il massimo della concessione a quella che Peppino chiamava la “presunta modernità”.  In realtà era lo scettro che il direttore Pasquale Nonno gli conferì per renderlo il primo tra i pari. Sembrava, per chi non lo conoscesse, altero, distaccato, un po’ vanitoso e chissà che altro. Era un pezzo di buon pane caldo. Fragrante come la sua anima, aperta e lieve. Uomo buono e sincero. Solare come, però, non erano mai stati i suoi occhi stanchi. Forse lo ricorderanno per quel 3,5 a Maradona dopo una partita a Udine, di cui io fui il primo a subirne le conseguenze. Faranno un torto a se stessi e a cosa è per questa città e per l’Italia Giuseppe Pacileo. Cosa è per la nostra storia e per quella del giornalismo. Ciao Peppino, il baroncino Iavarski, come mi chiamavi, ti abbraccia forte, forte. E pensa a chi non ti ha saputo rendere merito, come avresti dovuto ottenere. Poveri loro, felici noi che abbiamo camminato con te e condiviso una seppur piccola parte della nostra vita.

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