10. Il numero dei campioni e il dilemma Insigne

10. Un semplice numero. Ma nel mondo del calcio è l'unica cosa che ti avvicina a una divinità. Un semplice numero sul retro di una maglia. Chi ha l'onore (e il peso) di indossare questa casacca è il giocatore più talentuoso, creativo che con le sue giocate è in grado di spostare gli equilibri di un match. Un tempo la 10 corrispondeva al regista, al direttore di orchestra. Dai cui piedi transitavano tutte le azioni. Con l'evolversi del calcio il numero 10 divenne una seconda punta. Un fantasista offensivo che aveva il compito di innescare la punta e gli esterni.

La storia del 10. I migliori da Pelè a Maradona
Infiniti, o quasi, sono i fantastiti con quel numero sulla loro maglia. Il primo che la nostra Serie A ricordi è Omar Sivori che per molti è stato l'essenza del calcio. Con la Juventus ha fatto divertire. Il verbo calcistico, poi, è stato trasmesso anche a Napoli. Quando gioco all'ombra del Vesuvio. Alla fine degli anni '50 c'è un altro numero 10 che ha incantato i tifosi del Milan: Juan Alberto Schiaffoni. Di sicuro l’italo-uruguaiano è stato il più forte giocatore del pianeta nel lustro ’50-54, guidando l’Uruguay allo storico titolo mondiale del 1950. I rossoneri hanno visto, in quegli anni, un altro 10: Gianni Rivera. In vent’anni di Milan ha vinto tutto, dal primo scudetto ancora minorenne alla prima Coppa Campioni di un club italiano, a 20 anni, fino all’ultimo tricolore, da prezioso comprimario a 36. Poi c'è Zico. Meno calciatore totale rispetto a Pelè (di cui poteva essere l'erede), e più 10 autentico. Zico è stato superiore a Pelè nell’abilità sui piazzati.Se ne ricordano anche a Udine, piazza scelta a sorpresa per affemarsi anche fuori dal Brasile. Appunto Pelè. Regista, rifinitore, ma soprattutto bomber implacabile, in tutti i modi possibili. Ha segnato gol da classico 10, di classe dalla distanza, trasformato punizioni, ma anche reti di rapina da centravanti, o dopo scatti brucianti, perché Pelè è stato anche potentissimo, e velocissimo. E' stato uno dei più grandi, non tanto dal punto di vista tecnico, bensì da quello della completezza. Alla Juve si è accasato negli anni '90 un certo Zidane i cui colpi di suola saranno noti per altri 50 anni, così come di un temperamento che ne ha limitato l’infinito potenziale, tradendolo in troppi momenti chiave, chiusura compresa. Fuori confine troviano un argentino, ancora in attività: Lionel Messi. Tecnica, velocità palla al piede e senso del gol sono forse superiori anche a quelle di molti campionissimi del passato, che però non hanno mai potuto agire da centravanti puri, come Leo è stato reinventato al punto più alto della carriera.Oltr'alpe troviano uno dei numeri 10 più affascinanti sia dal punto di vista calcistico che personale: Ferenc Puskas. Vanta una bacheca ricchissima, a cominciare da quella Coppa Campioni vinta in tre occasioni, da stella tutt’altro che minore del grande Real Madrid. Dove arrivò a 31 anni dopo aver fatto sfracelli all’Honved, ma dove seppe trasformarsi nella miglior spalla possibile di Di Stefano. Torniamo in Italia e troviano il predecessore di Zidane all Juventus: Michel Platini. Regista, rifinitore, e anche goleador, dote che gli ha consentito di essere l’ultimo giocatore ad aver vinto la classifica marcatori della Serie A per tre stagioni consecutive. Scendo a Sud, con un treno o con un aereo. C'è Napoli, la seconda casa di Maradona. All'ombra del Vesuvio è stato padre-padrone per un lustro: due scudetti, magie, ma anche troppi vizi, alla base di un lento, ma mesto congedo. Nessun altro giocatore è riuscito a sintetizzare in 166 cm, e qualche rotondità di troppo, classe, esplosività, velocità, progressione, senso del gol, e panni del rifinitore. Il tutto condito con una leadership naturale, che gli permetteva di non reagire ai tanti falli, e di non umiliare i compagni dall’alto della propria superiorità.

Da Baggio a Mancini
Il calcio moderno presenta, invece, schemi totalmente diversi e ruoli interscambiabili. Dove il giocatore può ricoprire entrambi i ruoli senza affanni. Nella storia recente, però, ci sono diversi numeri 10 che hanno fatto la storia del calcio italiano. Parliamo di calciatori prettamente offensivi che hanno saputo onorare il numero 10 con gol, assist e giocate di altissimo livello. 
Indibenticabile Roberto Baggio. Per ricorda il suo valore in campo basta rimembrare gli striscioni che apparvero al Rigamonti di Brescia durante la sua ultima stagione calcistica. Il Divin Codino si vide dedicare strisciono come "Io domani voto Baggio" oppure "Dio c'è ed ha il codino". Non 'è l'unico. Gianfranco Zola che il 10 l'ha indossato anche a Napoli, oppure Roberto Mancini che con quella maglia ha fatto divertire i tifosi della Sampadoria. 

L'Ottavo re di Roma e il Pinturicchio
Poi c'è l'ottavo re di Roma. Francesco Totti. Er Pupone ha indossato per tutta la sua vita la numero 10 giallorossa. Maglia che ha dovuto salutare solo alla fine della stagione 2016/2017. Con quella 10 sulle spalle ha anche conquistato un mondiale in Germania nel 2006. Si è fatto da parte in azzurro perchè Er Pupone era più meritevole di indossare quella maglia. Alessandro Del Piero, immortale bandiera della Juventus. Pituricchio ha onorato la 10 (in bianconero) con parabole sontuose a effetto finite all'incrocio dei pali. Ribattezzate gol alla Del Piero. 

Totò, Fantantonio e la formica atomica
Nel recente passato, l'Italia ha conosciuto altri numeri 10 come Di Natale, Cassano, Giovinco. Soltanto il napoletano ha lasciato un ottimo ricordo di se con la casacca dell'Udinese. Antonio ha condotto i bianconeri a una storica qualificazione in Champion's League, con il supporto di Sanchez. Giovinco è volato nella Mls dove insegna calcio ai compagni. E Cassano per adesso è svincolato dopo aver fatto sognare Roma e Genova (sponda Samp). 

La 10 di Pirlo. E contesa da Marco e Lorenzo
Dopo l'addio alla Nazionale di Del Piero e Totti, l'erede della numero 10 è stato Andrea Pirlo che nella Juventus ha sempre indossato il 21. Stesso numero anche in azzurro quando conquistò il mondiale nel 2016. 
Adesso in Nazionale quella maglia è contesa da due talenti puri del calcio nostrano: Verratti e Insigne. Nell'ultima uscita in azzurro è stato il napoletano ad avere l'onore di indossarla. Soltanto perchè il pescarese era infortunato. Ma la prestazione di Insigne contro il Liechtenstein mette in difficoltà Ventura e la squadra su chi dovrà indossare quel numero. 
Lo stesso dilemma si è presentanto a Napoli, dove quella maglia e quel numero ha un valore diverso. Il 10, all'ombra del Vesuvio, l'ha indossato il Dio del Calcio: Diego Armando Maradona. Ma la maglia fu ritirato soltanto nel 2000. 

Da D10S a Zola
Dopo l'era di Maradona, che con la 10 ha intanto l'intero mondo regalando a Napoli due scudetti e una coppa uefa, in azzurro è arrivato Zola. Arrivò a Napoli nel 1989 e nel 1991 ereditò la maglia numero 10. Quella maglia che era di Maradona con cui divise lo spogliatoio e si allenava sui calci di punizione. 

Corini, Pizzi e Beto
Dopo Zola è stato il momento di Eugenio Corini che indossato i colori del Napoli e la 10 dal 1993 (giunto dalla Sampdoria), fino al 1995 quando poi andò a Brescia. Quindi il testimone passa a Fausto Pizzi. Giocò in un azzurro solo per una stagione dopo l'esperienza all'Udinese. Al termine del campionato fu ceduto al Perugia. Arriva il momento di Beto. Brasiliano che dal '96 al '97 ha giocato all'ombra del Vesuvio. Il Napoli lo prelevò dal Botafogo per poi cederlo al Flamengo. 

Protti e Bellucci: gli ultimi 10 azzurri
A Napoli, nel 97, arrivò anche Igor Protti in prestito dalla Lazio. Solo una stagione in azzurro e con la 10. Tornò, l'anno dopo, nella capitale. L'ultimo a indossare la maglia numero 10 prima di essere ritirata fu Claudio Bellucci. Arrivò in Campania nel '97 dopo l'esperienza nel Venezia. Restò al Napoli fino al 2001 prima di arriva a Bologna. 

Il dilemma
Ma la domanda resta: E' giusto dare la dieci a Insigne? Il popolo napoletano è spaccato in due. Ma la maggioranza, anche se di poco, è proiettata verso il sì. Intanto Lorenzo è stato chiaro: «La maglia numero 10? Mi tengo stretto il mio 24, anche se un giorno sarebbe bello che qualcuno possa tornare a indossare quella maglietta». 

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