«Adesso siamo pari». Addio sindrome del secondo posto

29 settembre 1988. Una data importante per lo sport e il basket mondiale. Nasceva uno dei cestisti più forti della pallacanestro moderna. Kevin Durant. Ha una sorella, Brianna, e due fratelli, Tony e Rayvonne. Non vive un'infanzia felice. Il padre abbandonò la famiglia quando era ancora piccolo. Un periodo durissimo ma la nonna aiutò la madre ad accudirlo insieme agli altri fratelli.
Sin da piccolo ha sempre tifato Toronto Raptors perché era un fan di Vince Carter. Kevin ha giocato in molte squadre nel Maryland dove conobbe altri futuri giocatori dell'Nba come Michael Beasley, Ty Lawson e Greivis Vasquez. Di cui è tuttora amico. Il 35 che indossa non è casuale. Il numero della sua maglia è in onore al suo allenatore Charles Craig che venne assassinato a soli 35 anni.
Kevin, giunto nell'Nba, ha sempre dimostrato il suo valore ma non è mai stato abbastanza. Nel 2012 perde, con la casacca dell'Oklahoma, la finale per il titolo dell'Nba contro Miami. Nacque, così, la cosiddetta sindrome del secondo posto. I maligni lo definiscono eterno. Ma quando ti rendi conto di essere secondo, e non dovresti esserlo perché sei veramente un fenomeno, cerchi di farti venire delle idee nuove per cambiare il passo. Kevin Durant è un fuoriclasse. Scienza, tecnica e corporeità umana. E' alto 211 centimetri e gioca in tutti i ruoli, anche se per molti è un'ala. E' il giocatore più forte del mondo. Ha un incredibile controllo di palla, un rilascio della palla stupendo. Fluido, continuo e atleticamente impeccabile. Ma ha un solo problema. E' contemporaneo di LeBron James che per qualche assurdo motivo riesce a essere più forte di lui. Ma quando giocano insieme con gli Stati Uniti, le gare le vincono da soli. Qui nasce l'ossessione: quella di diventare il numero uno. L'ossessione è quel sentimento che non dà pace e ti accompagna ogni giorno della tua vita. Come tutti sanno senza la parte ossessiva non esiste il campione. Kevin, quindi, decide di affidarsi a un personal. Justin Zormelo. Quest'ultimo da qualche anno ha tra le mani il controllo tecnico di uno dei giocatori più forti dell'Nba. Zormelo controlla ogni singolo secondo di ogni singola gara che Kevin gioca. Poi passa tutti i dati al computer e segna ogni tiro, ogni passaggio e ogni possesso. Lo annota e lo compara con le partite precedenti fornendogli un perfetto supporto statistico. Così Kevin Durant sa in cosa deve migliorare. E comprende quali tiri deve prendere sul campo. Con questo lavoro Kevin è diventato il settimo giocatore dell'Nba con 50% al tiro, 40% al tiro da 3 e almeno il 90% dai liberi. Per un cestista così alto è davvero innaturale. Ovviamente la chiave è Zormelo, un ex studente di Georgetown. Ma non ha mai giocato a basket. Un po' come se Neymar e Ibrahimovic, nell'anno in cui perdono tutto contro Cristiano Ronaldo, andassero da chi non ha mai visto una partita di calcio e gli chiedessero di farli diventare i più forti al mondo.
Il 13 giugno 2017 Kevin Durant diventa il re dell'Nba. Battendo in finale, con i Golden State, i Cavaliers di LeBron James. Una sfida che va oltre il titolo dell'Nba. Una vittoria che per Kevin ha un sapore diverso. Nel 2012 perde la finale contro Miami (come già detto). Ma in quell'anno, con gli Heat, giocava proprio lui: LeBron James. «Adesso siamo pari». Kevin è stato strepitoso e decisivo con 39 punti in gara-5. E top score della sua squadra in tutti i cinque incontri. Ha ottenuto anche il Bill Russell Nba Finals Most Valuable Player Award. Durant ha, finalmente, sconfitto la sindrome del secondo posto. Ben arrivato sull'Olimpo dei campioni.

Dislike non mi piace
0

Calciomercato

Le Opinioni

Serie A

Concept & Web Development
SmartBrand srl
Scroll to Top