La paura di sentirsi grandi

Il timore di essere se stessi è il male antico del Napoli, lo scoglio sul quale naufragano sogni e aspettative di squadra e tifosi. Come ieri in Champions e come in quelle che,  con eccesso e ridondanza,  vengono definite come sfide decisive. Prima di continuare a ragionare su questo amaro 1-0 e sull’uscita dall’unica vera coppa europea, c’è da formulare una premessa: il Napoli ha fatto tanto, forse pure troppo in Champions, e non ha deluso nessuno. Anzi, l’onore delle armi - in un raggruppamento definito alla vigilia impossibile  - è addirittura ben poca cosa per questo Napoli. Il rammarico, però, è palpabile, non si può celare.

Detto questo, diventa più chiara la vicenda Liverpool-Napoli, partita verità, soprattutto, per la band Ancelotti. Brava, bravissima a rompere gli schemi di un girone apparentemente segnato in partenza. Debole, però, come sempre, nel sentirsi prepotente in una gara chiave. Certo, il gol della Stella Rossa e qualche pareggio di troppo hanno falcidiato le possibilità del Napoli. Tuttavia all’Anfield Road si sono confrontate agilità e forza, sarebbero dovute contare la personalità, la volontà e l’intelligenza collettiva. Niente di tutto questo è accaduto, forse perché la vera ciliegina sulla torta - della quale parla Ancelotti - é un calciatore che manca o che non c’è mai stato; uno d’esperienza, che sa caricarsi sulle spalle la squadra quando la paura di sentirsi decisivi ti spegne pure il gioco.  A infuriarsi é stato solo il Liverpool e ha dimostrato che quella dell’andata è stata una serata storta. Il Napoli ieri ha perso la  fiducia in se stesso e nelle proprie capacità: dov’era la formazione strabiliante che sa muoversi in modo organico anticipando, marcando, pressando e ripartendo? Purtroppo era lì, all’Anfield Road, nascosta nella nebbia degli smarrimenti di una squadra che non sa sentirsi grande.

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